Gli incendi in Amazzonia hanno effetti devastanti anche in termini di rilascio di CO2 nell’ambiente. Se inclusi nel conto della CO2, raddoppierebbero infatti le emissioni della regione – ad affermarlo è la scienziata Ane Alencar dell’IPAM, l’Istituto di Ricerca Ambientale dell’Amazzonia –
gli incendi boschivi sono il risultato dell’azione umana nella regione, ma non sono inclusi nei calcoli ufficiali per l’accordo sul clima.
Gli incendi sono i responsabili dell’80% della deforestazione illegale (WWF, 2019) e favoriscono l’avanzamento del latifondo e la privatizzazione del suolo, anche grazie alla falsificazione dei titoli di terreni di proprietà pubblica.
Il land grabbing è sempre più diffuso
La questione del land grabbing è uno dei temi principali legati alla sostenibilità del territorio brasiliano ed è strettamente collegata al contesto socio-politico degli ultimi anni. Il land grabbing, è il sequestro illegittimo di terreni che aziende, persone, o addirittura governi mettono in atto al fine di controllare le risorse dell’Amazzonia brasiliana (Oxfam, 2017). L’IPAM, ha denunciato che tra il 2016 e il 2020 le aree illegalmente registrate come proprietà rurale privata all’interno delle terre indigene sono aumentate del 55%.
Difendere i territori e la foresta amazzonica è una battaglia che va combattuta su più fronti: quello degli incendi, quello della deforestazione e quello del land grabbing.
Deforestare l’Amazzonia per “sfamare” l’Europa
I consumi di carne da parte delle popolazioni europee determina una continua richiesta e un aumento considerevole delle importazioni. Il trattato UE-Mercosur regolamenta e evidenzia l’andamento degli scambi fra i Paesi dell’America Latina e gli Stati membri dell’UE.
Questa continua “fame” di carne degli europei spiega in parte il problema della deforestazione che in modo brutale e indiscriminato favorisce l’allargamento di territori dedicati a nuovi pascoli per i bovini. Il Brasile è uno dei primi produttori al mondo di carne bovina, con circa 10 milioni di tonnellate di carne all’anno. Circa 12000 di queste vengono esportate in Europa, soprattutto in Gran Bretagna e in Italia.